Cosa sono e come si ottengono le misure alternative alla detenzione
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per mezzo della Raccomandazione (92)16, rifacendosi al termine anglosassone community sanction, fornisce la seguente definizione di misura/sanzione alternativa o di comunità:
sanzioni e misure che mantengono il condannato nella comunità ed implicano una certa restrizione della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni e/o obblighi e che sono eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore.
Tale nozione designa le sanzioni decise da un tribunale o da un giudice e le misure adottate prima della decisione che impone la sanzione o al posto di tale decisione, nonché quelle consistenti in una modalità di esecuzione di una pena detentiva al di fuori di uno stabilimento penitenziario. Tutte le amministrazioni occidentali, compresa quella italiana, incaricate di tale parte dell’esecuzione penale condividono tale definizione. Le misure alternative alla detenzione o di comunità, consistono nel seguire un determinato comportamento, definito possibilmente d’intesa fra il condannato e l’ufficio di esecuzione penale esterna che lo abbia preso in carico; il contenuto del comportamento da assumere è ciò che viene normalmente indicato come un “programma di trattamento”, espressione applicabile anche ai condannati posti in misura alternativa o di comunità. In Italia, le misure alternative alla detenzione o di comunità vengono introdotte dalla legge 26 luglio 1975, n. 354. La competenza a decidere sulla concessione delle stesse è affidata al Tribunale di sorveglianza. Le misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario sono la semilibertà, le diverse forme di detenzione domiciliare e di affidamento in prova al servizio sociale.
Affidamento in prova al servizio sociale
È considerata la misura alternativa alla detenzione per eccellenza, in quanto si svolge totalmente nel territorio, mirando ad evitare al massimo i danni derivanti dal contatto con l’ambiente penitenziario e dalla condizione di privazione della libertà. L’applicazione dell’affidamento da un lato fa venir meno ogni rapporto del condannato con l’istituzione carceraria e dall’altro comporta l’instaurarsi di una relazione di tipo collaborativo con l’ufficio di esecuzione penale esterna L’introduzione dell’affidamento in prova al servizio sociale nell’ordinamento penitenziario italiano testimonia l’adesione a una linea di pensiero largamente applicata negli altri Stati occidentali, fondata sull’opportunità di articolare il sistema di difesa sociale con il ricorso a misure penali differenziate, in misura proporzionale alle esigenze di controllo delle manifestazioni delinquenziali e a quelle di trattamento dei loro autori. È regolamentata dall’art. 47 dell’Ordinamento penitenziario, così come modificato dall’art. 2 della l. n. 165 del 27 maggio 1998 e consiste nell’affidamento al servizio sociale del condannato fuori dall’istituto di pena per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Affidamento in prova al servizio sociale è previsto anche:
- dall’art.94 l. 309/1990 per quanto concerne i tossicodipendenti e alcoodipendenti
- dall’articolo 47-quater per i soggetti affeti da Aids o grave deficienza immunitaria.
- Vi è poi una figura di affidamento in prova al servizio sociale per il condannato militare.
E’ considerata misura alternativa alla detenzione anche l’espulsione dello straniero prevista dall’art.16 del d.lgs. 286/1998 – Testo Unico sull’immigrazione.
La detenzione domiciliare
La misura alternativa della detenzione domiciliare è stata introdotta dalla legge n. 663 del 10/10/1986, di modifica dell’Ordinamento penitenziario (o.p.). In seguito sono state aggiunte ipotesi di detenzione domiciliare per figure specifiche di condannati: le misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria (art.47-quater) e la detenzione domiciliare speciale per le condannate madri ( art.47- quinquies). La legge 9 agosto 2013 n. 94 ne ha ulteriormente esteso l’applicabilità eliminando gli automatismi che escludevano dal beneficio alcune categorie di soggetti, come i recidivi per piccoli reati e rendendone più agevole l’accesso per i condannati che al momento della irrevocabilità della sentenza fossero già liberi, a meno che non siano autori di gravi reati (come quelli in materia di criminalità organizzata o di maltrattamenti in famiglia. La misura consiste nell’esecuzione della pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza e, solo in caso di donne incinta o madri di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, di case famiglia protette. L’ordinamento prevede varie forme di detenzione domiciliare. Detenzione domiciliare speciale – Consente alle condannate, madri di bambini di età inferiore agli anni dieci, di espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. ( art.47- quinquies), Detenzione domiciliare per soggetti affetti da Aids o grave deficienza immunitaria – Con l’inserimento dell’art. 47-quater nella l. 354/1975 ad opera della l. 231/1999, il legislatore ha voluto consentire ai soggetti affetti da aids o da grave deficienza immunitaria, accertate ai sensi dell’articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, e che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell’assistenza ai casi di aids, la possibilità di accedere alle misure alternative o di comunità previste dagli articoli 47 (affidamento in prova al servizio sociale) e 47 ter (detenzione domiciliare), anche oltre i limiti di pena ivi previsti. Detenzione domiciliare pene non superiori a diciotto mesi – La legge 199/2010 consente l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive brevi- il termine dei 18 mesi è stato modificato dal d.l. 211/2011, convertito con modificazioni dalla l. 9/2012.
La semilibertà
Può essere considerata come una misura alternativa impropria, in quanto, rimanendo il soggetto in stato di detenzione, il suo reinserimento nell’ambiente libero è parziale. È regolamentata dall’art. 48 dell’ordinamento penitenziario (l.354/1975) e consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dall’Istituto di pena per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale, in base ad un programma di trattamento, la cui responsabilità è affidata al direttore dell’istituto di pena.
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